Presentato da:
Kamlesh Khunti, MD, PhD, FRCGP, FRCP
University of Leicester, Leicester General Hospital, Leicester, UK Elizabeth Selvin, PhD, MPH
Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore, DA, USA Frans Pouwer, PhD
University of Southern Denmark, Denmark Sophia Zoungas, MBBS (Hons), PhD, FRACP
Monash University, Melbourne, Australia
L’ipoglicemia è un problema essenziale per i soggetti con diabete, venendo spesso considerata un fattore limitante per la gestione glicemica. L’eterogeneità di espressione del diabete tipo 2 può influenzare la frequenza e la gravità delle ipoglicemie, e vari fattori sono in grado di condizionare il rischio di ipoglicemie, come la terapia con sulfoniluree o insulina e l’attività fisica. Le ipoglicemie possono anche avere conseguenze psicologiche e cardiovascolari (CV) avverse. È necessaria un’educazione focalizzata alle ipoglicemie per ridurre al minimo l’impatto di questa importante complicanza.
I dati derivanti da diversi studi hanno indicato che il tasso di ipoglicemie è più elevato nella vita reale che nei trial clinici, e in uno studio su soggetti con diabete tipo 2 quasi il 50% dei pazienti in terapia insulinica per oltre 12 mesi ha riferito ipoglicemie.
Tassi elevati di ipoglicemia nelle esperienze del mondo reale sono stati confermati dal recente studio HAT, il più vasto trial sulle ipoglicemie mai condotto fino a ora.
Nello studio, il 52% dei soggetti trattati con insulina ha lamentato un evento ipoglicemico da lieve a moderato, e il 21% un’ipoglicemia grave.
Malgrado ciò, in alcune regioni i tassi di ipoglicemia sembra stiano gradualmente riducendosi nel tempo, almeno in parte come possibile conseguenza dei cambiamenti delle pratiche prescrittive a favore di farmaci diversi dalle sulfoniluree.
Questo, però, non è sempre vero: tra i vari studi esistono importanti differenze nei tassi di ricovero ospedaliero dopo intervento dell’ambulanza o accesso in pronto soccorso; tali differenze potrebbero essere legate a diversità nel disegno degli studi, al tipo di diabete, ai criteri d’inclusione e di esclusione, all’eterogeneità dei trattamenti, alla definizione di ipoglicemia e a possibili discrepanze legate all’etnia.
Ciononostante, è evidente che le ipoglicemie restano un problema di rilevanza clinica significativa, e l’obiettivo ultimo del medico dovrebbe essere quello di ridurre il tasso di tali complicanze attraverso interventi educazionali e farmacologici, considerata la tendenza in incremento di fattori di rischio quali l’invecchiamento, la fragilità e le comorbilità.
Attualmente si ipotizza l’esistenza di un legame tra la malattia CV clinica e le ipoglicemie severe, malgrado siano pochi i dati disponibili relativi a tale associazione in studi di popolazione.
Nello studio ARIC, che ha indagato gli accessi in pronto soccorso, gli interventi dell’ambulanza e i ricoveri, era effettivamente ricavabile l’evidenza che un singolo episodio di ipoglicemia severa produce una condizione ad alto rischio, con una mortalità a 3 anni del 30% circa. Il rischio sembra essere massimo nel primo anno successivo all’episodio ipoglicemico, mostrando un’associazione robusta e indipendente con la mortalità CV e la cardiopatia ischemica.
Livelli elevati di troponina cardiaca ad alta sensibilità (hs-cTnT, high sensitivity cardiac troponin) costituiscono un biomarker di danno cardiaco subclinico cronico, e si ritiene che aumenti della hs-cTnT in soggetti asintomatici possano riflettere tale danno del miocardio.
Le evidenze attuali indicano che le ipoglicemie gravi possano determinare un incremento dei livelli di hs-cTnT, ma questo dato richiede ulteriori studi.
Un altro aspetto rilevante da prendere in considerazione è quello delle alterazioni cognitive correlate alle ipoglicemie. In effetti, una prevalenza aumentata di alterazioni cognitive lievi e di demenza è stata associata in maniera significativa a un’anamnesi positiva per ipoglicemie severe, e il legame tra ipoglicemie e outcome cognitivi pare robusto.
Ogni episodio documentato di ipoglicemia dovrebbe indurre a rivalutare la gestione dei fattori di rischio e l’attenzione nei confronti dei possibili effetti negativi di un trattamento farmacologico complesso.
Gli operatori sanitari dovrebbero spesso indagare la presenza di ipoglicemie in anamnesi, così come è importante la valutazione delle funzioni cognitive soprattutto negli anziani con storia di ipoglicemie.
La terapia andrebbe sempre personalizzata allo scopo di prevenire le ipoglicemie negli adulti con alterazioni cognitive.
Infine, uno stretto compenso glicemico può risultare controproducente nei soggetti ad alto rischio, particolarmente tra gli anziani.
Molti sono i modi attraverso i quali le ipoglicemie possono influenzare gli outcome psicologici nei soggetti con diabete tipo 2; tra questi, vanno citati i sintomi fisici ed emotivi spiacevoli, la perdita di coscienza con i traumi conseguenti, la creazione di situazioni d’imbarazzo, la riduzione dell’autostima, il peggioramento della qualità del sonno e il timore che tali eventi possano ripresentarsi in futuro.
In effetti, diversi studi hanno dimostrato che il timore delle ipoglicemie è molto maggiore nei soggetti precedentemente andati incontro a episodi di ipoglicemia grave rispetto a quelli senza precedenti di questo tipo.
Malgrado l’importanza sugli outcome dei pazienti, esistono ancora dati insufficienti relativi all’impatto delle ipoglicemie lievi sugli outcome psicologici, mentre appare certo che le ipoglicemie severe esercitano un effetto chiaramente sfavorevole.
L’effetto più rilevante e maggiormente riportato è il timore delle ipoglicemie, il peggioramento complessivo del grado di benessere e delle condizioni di salute.
Inoltre, occorre ricordare che l’impatto psicologico negativo delle ipoglicemie non è limitato ai pazienti trattati con insulina.
Nel diabete tipo 2 si impiegano terapie aggiuntive, vale a dire trattamenti utilizzati insieme alla terapia principale per aiutare i pazienti a raggiungere livelli di compenso glicemico ottimali o vicini alla norma.
Tuttavia, le insuline attualmente disponibili e gli altri farmaci antidiabetici non riproducono fedelmente la normale fisiologia, con la conseguenza che possono favorire ipoglicemie gravi.
L’approccio attuale per la gestione del diabete tipo 2 prevede il ricorso a terapie che riducano al minimo il rischio di ipoglicemia, utilizzando insuline più fisiologiche (vale a dire analoghi basali e rapidi) e altri farmaci, per via orale o iniettiva, con basso rischio di ipoglicemia agenti attraverso meccanismi glucosio-dipendenti.
Inoltre, sono state sviluppate soluzioni tecnologiche innovative per un miglior rilascio dell’insulina e un più corretto monitoraggio dei livelli glicemici.
Un altro aspetto da prendere in considerazione è l’educazione dei pazienti su come evitare e gestire le ipoglicemie attraverso l’alimentazione e l’attività fisica, programmi educazionali strutturati e la terapia cognitivo-comportamentale.
Per il futuro, sono in fase di sviluppo nuove formulazioni insuliniche e nuove terapie di associazione che potrebbero contribuire a ridurre ulteriormente il rischio di ipoglicemie.
Messaggi chiave/Prospettive cliniche
Le ipoglicemie restano un problema rilevante nel trattamento del diabete tipo 2.
Le ipoglicemie hanno molte conseguenze negative per i pazienti, compresi sfavorevoli outcome CV e psicologici, che possono risultare di particolare importanza nell’anziano.
Nuove insuline, al pari di nuove terapie per via orale o iniettiva con meccanismo d’azione glucosio-dipendente, stanno limitando il rischio di ipoglicemie.
Khunti K, Alsifri S, Aronson R, et al. Rates and predictors of hypoglycaemia in 27 ì,585 people from 24 countries with insulin‐treated type 1 and type 2 diabetes: the global HAT study. Diabetes Obes Metab. 2016 Sep;18(9):907-15.
[No authors listed] The Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) Study: design and objectives. The ARIC investigators. Am J Epidemiol. 1989 Apr;129(4):687-702.
Present disclosure: E. Selvin, F. Pouwer and S. Zoungas: None. K. Khunti: Amgen, AstraZeneca, Eli Lilly, Merck Sharp & Dohme, Novo Nordisk, Sanofi, Boehringer Ingelheim, Janssen, Novartis, Pfizer, Sanofi-Aventis, Servier, Takeda, Menarini, Roche, Takeda.
Jose C. Florez, MD, PhD
Chair, ADA Scientific Sessions Meeting Planning Committee
Quest’anno le 79th Scientific Sessions dell’American Diabetes Association si sono tenute a San Francisco, in California, dal 7 all’11 giugno. All’incontro hanno partecipato oltre 15.000 professionisti della cura del diabete provenienti da 115 paesi … [ Leggi tutto ]
Presentato da: Kimberly L. Drews, MD, PhD; Lorraine E. Levy Katz, MD; Petter Bjornstad, MD; Neil H. White, MD; Jeanie B. Tryggestad, MD; Ruth S. Weinstock, MD, PhD; for the TODAY2 Study Group
Presentato da: Gilles R. Dagenais, MD; Rafael Diaz, MD; Matthew C. Riddle, MD; Hertzel C. Gerstein, MD, MSc; Helen Colhoun, MD; Jeffrey L. Probstfield, MD; Hertzel C. Gerstein, MD, MSc
Presentato da: Vanita R. Aroda, MD; Richard E. Pratley, MD; Stephen C. Bain, MA, MD, FRCP; Mansoor Husain, MD, FRCPC; John B. Buse, MD, PhD; Vivian Fonseca, MD
Presentato da: Alison B. Evert, MD; Janice MacLeod, MA, RDN, CDE; William S. Yancy, Jr., MD, MHS; W. Timothy Garvey, MD; Ka Hei Karen Lau, MS, RD, LDN, CDE; Christopher D. Gardner, PhD; Kelly M. Rawlings, MS